Tramandato finora da un unico testimone di provenienza non documentata, il ms. XII.E.27 della Biblioteca Nazionale di Napoli, il cosiddetto "De arte illuminandi" ha goduto negli ultimi due secoli di una notevole fortuna editoriale per via del carattere fortemente specialistico e della razionale organizzazione della materia, incentrata sulla produzione e messa in opera dei pigmenti e coloranti destinati alla miniatura. La recente identificazione di una nuova fonte, provvista anche di titolo (Libellus ad faciendum colores dandos in carta), nel ms. S 57 dell'Archivio di Stato dell'Aquila - appartenuto al beato Bernardino da Fossa, illustre esponente dell'Osservanza francescana -, ha permesso, attraverso un'accurata opera di collazione, di migliorare notevolmente la comprensione del testo, dando risposta a quesiti fondamentali come la cronologia e l'ambito di composizione e circolazione del trattato, di estrazione claustrale, verosimilmente minoritica abruzzese. Grazie al riscontro dei contenuti con i dati risultanti dalle indagini scientifiche applicate all'illustrazione e decorazione libraria, alla luce dell'evoluzione tecnico-stilistica della miniatura fra Due e Trecento, è oggi possibile ripristinare l'appartenenza del "De arte illuminandi" all'orizzonte tardogotico. Preceduto da un ampio studio introduttivo e dal facsimile, il testo critico -con traduzione a fronte- è corredato di un glossario e di un saggio di Paolo Bensi sulle materie coloranti.